Il Santuario Pelagos, serbatoio di carbonio blu

Il progetto Bluescape indaga sul valore “aggiunto” della grande area marina protetta per i cetacei nel Mediterraneo nord-occidentale in termini di contrasto ai cambiamenti climatici

Quanto “vale” il Santuario Pelagos in termini di servizi ecosistemici o, in altre parole, quanto beneficio trae il Pianeta, e quindi noi, dalla presenza di questo straordinario hot spot del Mediterraneo?

A questa domanda vuole rispondere il progetto BLUESCAPE, partito nel marzo 2024 e finanziato per tre anni da Pelagos Initiative (composta da Fondazione Principe Alberto II di Monaco, World Wide Fund for Nature (WWF), Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e Rete delle Aree Marine Protette del Mediterraneo (MedPAN), con lo scopo dichiarato di rafforzare la protezione del Santuario.

Come è noto, gli oceani sono capaci di sequestrare il carbonio, alla base del principale gas serra, l’anidride carbonica che, emessa in eccesso dalle attività umane, sta causando, cambiamenti climatici e gravi squilibri al clima mondiale; quello sequestrato dal mare è il cosiddetto “carbonio blu”. Vale ovviamente anche per il Mediterraneo e a maggior ragione per una delle zone più ricche che si conoscano, situata nella parte nord-occidentale, il Santuario Pelagos.

Si tratta della grande area marina protetta transnazionale, prima nel suo genere, istituita grazie a un accordo tripartito tra Italia Francia e Principato di Monaco su un primo suggerimento dell’Istituto Tethys.

Il Santuario nasce principalmente per la tutela dei cetacei; tutte e otto le specie mediterranee lo frequentano, compresi due “giganti”, la balenottera comune e il capodoglio.

I mammiferi marini hanno un ruolo privilegiato nella “corsa” all’abbattimento del famigerato carbonio, i grandi cetacei in prima linea. Innanzitutto, grazie al fatto che molti di loro mangiano in profondità ed emettono le feci in superficie, sono preziosi fornitori di fertilizzante per i vegetali del mare, soprattutto il fitoplancton che con la fotosintesi fornisce ossigeno eliminando nel contempo  CO2.

Ma c’è di più: come quelli di tutti i viventi, i tessuti dei cetacei sono costituiti (anche) di carbonio; le specie più grandi come le balenottere o i capodogli, o più numerose, come le stenelle, ne immagazzinano di più. In Mediterraneo, poi, c’è anche un altro “sequestratore” di carbonio particolarmente efficiente, la Posidonia oceanica, una pianta marina endemica dei nostri mari.

Il progetto Bluescape, con capofila il DICA (Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale) del Politecnico di Milano, e partner l’Istituto Tethys e l’unità di ricerca “Stella Mare” dell’Università della Corsica, si propone di quantificare la capacità del Santuario Pelagos di sequestrare carbonio. Perché proprio il Santuario? Innanzitutto perché ospita una importante quantità e varietà di balene e delfini da una parte, e praterie di posidonia dall’altra. Inoltre comprende sia le coste (Liguria, Toscana, Sardegna , Costa azzurra e Corsica settentrionale), che una gran parte di zona “pelagica”, cioè d’alto mare; con un’estensione di quasi 90.000 km2 il Santuario Pelagos non era mai stato finora valutato dal punto di vista del ciclo del carbonio blu.

Bluescape verte quindi su alcuni importanti elementi chiave:

  • I cetacei del Santuario Pelagos, di cui Tethys monitora sistematicamente da oltre 35 anni, l’abbondanza relativa. Qual è il loro contributo in termine di “stoccaggio” di carbonio blu?
  • Le loro feci, raccolte sia in mare che da animali spiaggiati, (in quest’ultimo caso a cura del CREDIMA, Centro di referenza nazonale per le indagini diagnostiche sui mammiferi marini spiaggiati, accordo in fase di finalizzazione): quanto contribuiscono a fornire ferro e sali minerali e quindi a fertilizzare le acque?
  • La Posidonia oceanica: quanto carbonio è capace di sequestrare nelle cosiddette praterie?

Unendo i dati e affiancandoli a rilevamenti ambientali, misurati sia in loco che da satellite, sarà possibile quantificare e mappare i flussi del carbonio blu del Santuario. Capire il suo potenziale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, sarà un motivo in più per proteggerlo.