In rotta di collisione: balenottere e capodogli minacciati dalle grandi imbarcazioni
Uno studio coordinato da Tethys analizza il fenomeno, particolarmente drammatico nel Santuario Pelagos. Quali sono i fattori di rischio e cosa possiamo fare?
Quando le balene conquistano i titoli dei giornali spesso è perché sono in difficoltà, e tra queste molti sono individui che hanno ferite o cicatrici dovute alla collisione con una nave. Codamozza, la balenottera comune con la pinna caudale amputata è l’esempio forse più famoso, ma è tutt’altro che l’unico. Oggi le collisioni tra navi e grandi cetacei pongono un serio rischio per la sopravvivenza dei mammiferi marini, nel Mediterraneo in particolare.
Si è confrontato con questo drammatico e urgente problema l’Istituto Tethys, che per primo lo ha portato all’attenzione degli organi gestori e dell’opinione pubblica oltre quindici anni fa e ne ha monitorato nel tempo l’impatto sui grandi cetacei. Tethys ha infatti condotto uno studio in collaborazione anche con British Antarctic Survey, International Fund for Animal Welfare, QuietOceans, Souffleurs d’Ecume, WWF France, responsabile Simone Panigada e finanziato dal Segretariato permanente dell’Accordo Pelagos, pubblicato di recente: “Proposta per strategie di mitigazione per la riduzione del rischio di collisione con le navi di balenottere comuni e capodogli”.
Sono in tutto 426 i grandi cetacei con segni di collisione censiti dallo studio, solo nel Santuario Pelagos, di cui 285 spiaggiati e 141 sopravvissuti, ma le cifre, che nella migliore delle ipotesi partono dagli anni 70, sono sicuramente sottostimate. Questo è dovuto al fatto che un tempo l’attenzione a questo tipo di dettagli era minore e soprattutto che solo una frazione di animali morti finisce per spiaggiarsi.
Il Mediterraneo: un mare a rischio
Che il fenomeno sia globalmente in aumento (con solo qualche eccezione per le balenottere in certi anni) non è difficile da capire: il Mediterraneo è uno dei mari più trafficati al mondo e il Santuario, dove si possono avvistare tutte e otto le specie di cetacei nostrane, si trova proprio in uno dei punti più “caldi”. Si calcola che solo lungo la rotta delle grandi navi da e per la Corsica in estate viaggino qualcosa come 30 traghetti al giorno, il che si traduce in non meno di due potenziali collisioni alla settimana; le navi, soprattutto per passeggeri, attraversano aree a rischio nel 60% del tempo. Il traffico marittimo è aumentato del 50% solo nell’ultimo decennio e le previsioni sono di un ulteriore costante e drammatico aumento.
Due sono le specie di grandi cetacei del Mediterraneo, ed entrambe sono minacciate dalle navi, anche se con modalità diverse: i capodogli, che nell’area di studio di Tethys tendono a vivere lungo la costa, grossomodo intorno alle 10 miglia di distanza, si trovano spesso proprio sulla rotta dei cargo, mentre le balenottere, che invece mangiano al largo, sopra i fondali alti, sono più esposte alle collisioni con le navi passeggeri che attraversano il bacino dalla terraferma verso le isole.
Prevenire le collisioni
Cosa si può fare? L’ideale sarebbe essere in grado di prevedere dove si troveranno gli animali e spostare di conseguenza le rotte delle imbarcazioni. Oggi esistono satelliti come i Worldview 2 e 3, con una risoluzione talmente alta da “vedere” una balena quando è in superficie. Assieme ai dati di temperatura dell’acqua e di clorofilla (che indica indirettamente anche la presenza del krill di cui si nutrono le balenottere) sono stati messi a punto dei modelli predittivi, ma il loro impiego per prevenire le collisioni è particolarmente difficile nel Santuario. Nel caso dei capodogli si potrebbe anche proporre di spostare le rotte dei cargo, ma non così per le balenottere che invece sono molto disperse e ben poco prevedibili nei loro spostamenti. Senza contare che se i cargo viaggiassero più al largo per evitare i capodogli sottocosta, metterebbero maggiormente a rischio le balenottere, peraltro la specie più esposta.
Al momento esiste un unico sistema già in atto per la prevenzione delle collisioni, il REPCET (REal time Plotting of CETaceans) che si basa sulla segnalazione, tra navi vicine, della presenza di grandi cetacei; è obbligatorio in Francia per imbarcazioni oltre i 24 metri, per gli altri l’adesione (peraltro scarsa) è volontaria. L’efficienza, conferma lo studio, è piuttosto bassa, attualmente dell’1%, e suscettibile di aumentare comunque a non più del 19%. Diversi sono i motivi per cui non è probabilmente questa la soluzione definitiva: 1) ai comandi di un cargo di decine di metri spesso non è possibile vedere un animale sotto prua; 2) nella pratica l’avvistamento è possibile solo con mare piatto e 3) solo di giorno. 4) Cargo e altre imbarcazioni giganti hanno un abbrivio tale per cui spesso non riescono a rallentare né manovrare in tempo per evitare la collisione. Il risultato è che a volte chi è ai comandi nemmeno si accorge di aver investito una balenottera o un capodoglio.
Il problema di individuare i cetacei in navigazione non è di poco conto: esiste la figura professionale del “Marine Mammal Observer”, osservatore di mammiferi marini, il cui impiego però è oneroso. Una svolta potrebbe forse arrivare dall’introduzione di sistemi automatizzati in grado di rilevare un grande cetaceo per esempio dal soffio, oppure di percepirne la presenza con metodi acustici.
Proposte concrete
Al momento il Mediterraneo, e il Santuario in particolare, restano terreni particolarmente difficili per una questione già di per sé complicata. Un rimedio definitivo non sembra a portata di mano, conclude lo studio, e si può solo parlare di mitigazione. Scartata l’idea di uno spostamento delle rotte che funzioni contemporaneamente per entrambe le specie, l’unica opzione praticabile sembra la riduzione della velocità. Il rischio di collisione è infatti direttamente proporzionale alla velocità, oggi in costante aumento, delle imbarcazioni. Una possibilità è dunque imporre, o almeno raccomandare, un rallentamento alle navi in caso di segnalazione della presenza di un grande cetaceo oppure in determinati periodi: le balenottere per esempio, si trovano nel Santuario soprattutto in estate. Peraltro un rallentamento sarebbe anche perfettamente in linea con le raccomandazioni per la riduzione delle emissioni di CO2, cosa che potrebbe forse convincere le compagnie di navigazione. Si ipotizzano anche dei sistemi cosiddetti ibridi: la scelta tra corridoi “sicuri” per l’alta velocità, in alternativa a rotte eventualmente più lunghe, a velocità ridotta.
Infine, sottolineano i ricercatori, un’azione di sensibilizzazione con le diverse compagnie di navigazione e una raccolta più sistematica di dati sarebbe fondamentale: anche solo riuscire ad avere una casistica completa consentirebbe di avere un quadro più preciso della situazione. Purtroppo i colossi del trasporto marittimo spesso sono ancora ignari o riluttanti per paura di un danno di immagine.
Ma forse qualcosa possiamo fare tutti: grandi navi e traghetti sono colmi di passeggeri ansiosi di arrivare il più velocemente possibile a destinazione. Ma la sensibilizzazione del pubblico potrebbe essere la chiave per un cambio di prospettiva: meglio sbarcare in Corsica qualche ora più tardi, ma nel rispetto degli abitanti del mare. Il problema delle collisioni va dunque spiegato al maggior numero possibile di persone, sia del vasto pubblico che degli addetti ai lavori.
Maddalena Jahoda
Sono purtroppo tanti i grandi cetacei vittime di collisione che vengono avvistati in mare o che si spiaggiano in seguito alle ferite. Tra quelli “fortunati” che sono sopravvissuti, due sono i “testimonial” che Tethys ha scelto per la divulgazione di questo drammatico problema: Siram-Freddy e Propeller .
Il capodoglio (Physeter macrocephalus) Siram – Freddy ha una profonda ferita sul dorso e sul fianco, per fortuna rimarginata, quasi sicuramente dovuta a una collisione con una imbarcazione. Il suo incidente è avvenuto tra il giugno del 2009 e il giugno dell’anno successivo, come i ricercatori hanno potuto stabilire dalle foto che permettono la sua identificazione. Siram-Freddy è tra i capodogli più fedeli alla zona del Santuario; avvistato nel 2009, 2010, 2011 e nel 2012, Tethys non lo aveva poi più incontrato per 4 anni, per poi riavvistarlo regolarmente tutte le estati dal 2017 in poi. Nel 2021 Siram-Freddy è stato incontrato dai ricercatori Tethys per ben 8 volte
I capodogli nel Santuario compaiono in superficie quasi sempre singolarmente, anche se in realtà sono in contatto acustico fra loro, cosa che i ricercatori sono in grado di stabilire attraverso gli idrofoni. Siram- Freddy ha i suoi “amici”, i più fedeli dei quali sono Harald e Bric.
Durante il primo avvistamento del 2021 era presente a bordo una delegazione di Siram/Veolia, che lo ha voluto “adottare” come testimonial del problema delle collisioni.
Siram-Freddy ripreso dall’alto