Cetaceans Sanctuary Research: 30 anni per i cetacei del Mediterraneo
L’anno della pandemia
Il 2020 porta con sé il Covid-19, che per un attimo “congela” tutte le attività umane. Per i ricercatori è un’occasione, che potrebbe aiutare a capire come tutelare non solo gli animali ma tutto l’ambiente marino per il futuro. Quali effetti avrà sui cetacei un anno anomalo come questo? Ci saranno differenze nella loro distribuzione, nell’abbondanza, nell’uso dell’habitat, nel comportamento?
Sarà forse un anno complicato e difficile, ma sarà ispirato, come sempre, alla tutela dei mammiferi marini, dei nostri mari e del futuro che ci accomuna.
Di sicuro il 2020 sarà ricordato come un anno particolare, e non solo perché vede un virus tenere in scacco il mondo intero. Con ogni probabilità in mare molte cose sono cambiate al momento del lockdown, con un traffico marittimo ridotto, soprattutto in vicinanza delle coste. Ma è un anno molto particolare per il Cetacean Sanctuary Research (CSR), uno dei due progetti a lungo termine dell’Istituto Tethys, che ha festeggiato 30 anni di attività, preziosi per la conoscenza. Ecco perché.
Un Santuario in evoluzione
Il CSR svolge ricerche nel Santuario Pelagos, la più grande area marina protetta del Mediterraneo, e vanta oggi un vero e proprio record: la più cospicua mole di dati scientifici raccolti in quest’area, con uno sforzo forse più unico che raro nel suo genere, che ha visto ricercatori e partecipanti percorrere l’equivalente di oltre sei volte la circonferenza terrestre. Il progetto ne ha ricavato una sorta di fotografia a tutto campo di questo ambiente straordinario. Anzi, di più: non una semplice istantanea, quanto la testimonianza dell’evoluzione di un ecosistema su un arco di tempo senza precedenti.
Oggi il quadro è sensibilmente cambiato rispetto agli inizi. I risultati del progetto CSR hanno permesso di documentare delle variazioni nella distribuzione degli animali e nell’utilizzo dell’area del Santuario. In mare i confini non sono fissi ma in perenne movimento e altrettanto fluida si è rivelata la presenza delle balenottere, condizionata dalle complesse dinamiche oceanografiche. È cambiato qualcosa tra i capodogli che oggi sono presenti più a lungo, fin dall’inizio dell’estate, mentre i grampi, che venivano avvistati nelle acque antistanti il Ponente ligure e la Costa Azzurra, da ben cinque anni sono scomparsi da quella zona.
Dei cetacei del Mediterraneo oggi sappiamo che sono geneticamente diversi da quelli dell’Atlantico. Questo significa che balene e delfini del Mediterraneo sono tanto più preziosi e non ci possiamo permettere di perderli. Il Santuario è un luogo strategico: un prezioso quartiere alimentare estivo sia per i maschi di capodoglio che per le balenottere. Potrebbe addirittura ospitare una parte significativa delle popolazioni di grandi cetacei, ed essere una sorta di serbatoio per l’intero Mediterraneo. Sono tutte ipotesi che i ricercatori possono verificare solo con programmi come il CSR, continuativi e a lungo termine.
La continuità è anche la chiave per comprendere l’essenza del Santuario, un ambiente in perenne trasformazione. Anche l’impatto dell’uomo è cambiato e si fa sempre più pressante: dalle catture accidentali nelle reti, ai contaminanti, dalle collisioni all’inquinamento acustico; dalle macro e micro-plastiche alla perdita di habitat, alla pesca eccessiva. Qual è il peggiore? Probabilmente, un cocktail di vari fattori, in allarmante aumento e anch’esso in rapida trasformazione, per far fronte al quale occorrono misure di gestione altrettanto complesse, mirate ma flessibili nel tempo.
Maddalena Jahoda