La terribile storia di Codamozza

Avvistammo quella insolita balenottera per la prima volta nel lontano 2005; era “strana” perché quando si immergeva sollevava la coda fuori dall’acqua, cosa che le sue cospecifiche, tipicamente non fanno. Ma fu solo alla seconda occhiata che mi resi conto della vera anomalia: le mancava gran parte del lobo sinistro della pinna caudale. Era questo, con ogni probabilità, che la costringeva a immergersi con un’angolazione diversa, insomma era un po’ come se zoppicasse.
La battezzammo d’impulso “Codamozza” e mai come ora l’epiteto sembra azzeccato: da ottobre il povero animale infatti ha perso completamente la coda e vaga per il Mediterraneo sempre più debilitata; mancando dell’organo che normalmente garantisce la propulsione sembra incapace di immergersi e quindi di alimentarsi.
All’epoca, Codamozza sembrava gradire il soggiorno nel Santuario Pelagos, dove si fece rivedere per vari anni, da noi di Tethys e da diversi altri colleghi che operano nella zona. La balenottera handicappata era diventata un po’ la mascotte del Santuario, simbolo della volontà di sopravvivere anche alle peggiori minacce che incombono sui mammiferi marini – quasi sempre provenienti dall’uomo. Finchè un giorno, la situazione precipitò.
Ecco qui la sua storia, ricostruita fino ad oggi.

La balenottera comune (Balaenoptera physalus) completamente senza pinna caudale, già segnalata nei giorni scorsi al largo della Calabria e nel golfo di Catania, domenica 14 giugno si è avventurata nelle trafficatissime acque dello stretto di Messina, scortata e monitorata dalla Guardia Costiera con l’aiuto di Carmelo Isgrò del MuMa-Museo del Mare di Milazzo, per evitare una collisione con i traghetti. Secondo la ricostruzione dei ricercatori il cetaceo, che appartiene alla seconda specie più grande mai esistita, ha coperto, nonostante il suo handicap, migliaia di chilometri. L’animale senza coda era stato infatti avvistato già nell’ottobre scorso al largo della Spagna e delle Francia, e successivamente in Siria e poi in Grecia.
La prima segnalazione in Sicilia era pervenuta sabato a MareCamp, Associazione Onlus operativa nel golfo di Catania per il monitoraggio e la conservazione di balene e delfini, dal pescatore artigianale ripostese Antonio Costanzo e successive segnalazioni della presenza del grande cetaceo nelle acque del capoluogo etneo erano giunte anche alla Sala Operativa della Capitaneria di porto di Catania.
Si tratta in realtà di un individuo ben conosciuto soprattutto nel Santuario Pelagos, la grande area protetta transnazionale che comprende mar Ligure, di Corsica e Tirreno; è parte del catalogo di foto-identificazione dell’Istituto Tethys, la non-profit che da oltre 30 anni studia i mammiferi marini del Mediterraneo per la loro tutela; i suoi ricercatori avevano avvistato questa balenottera la prima volta nel 2005, con già metà della coda mancante.
Dall’esame dei segni sul corpo e in particolare di un’ulteriore piccola cicatrice davanti alla pinna dorsale è stato possibile confermare che la balenottera avvistata in Spagna e quella di Catania è proprio “Codamozza”; con ogni probabilità quindi si tratta sempre della stessa anche nel caso della Grecia e della Calabria.
La balenottera senza coda nuota inn maniera sorprendentemente veloce considerata la sua menomazione. Tende però a restare in superficie, senza compiere le lunghe e periodiche immersioni come sarebbe invece normale. Inoltre appare molto emaciata con profonde incavature sui fianchi. Tutto farebbe pensare che non riesca ad alimentarsi.
Quanto alle possibili cause, per la coda tagliata a suo tempo, si era ipotizzata una collisione con una nave; Tethys conduce infatti ricerche proprio su questo argomento, tra cui il progetto “Ship Strikes” finanziato dall’Accordo Pelagos, con lo scopo di valutare il fenomeno, sempre più grave con l’aumento del traffico marittimo, e suggerire possibili misure di mitigazione.
Ora ci si interroga su come sia potuta avvenire questa ulteriore mutilazione: un’altra collisione oppure una lenza o una rete che dopo essere stata stretta a lungo sul peduncolo caudale abbia causato una necrosi e la successiva perdita della coda? La seconda possibilità sembra la più plausibile secondo i veterinari del CReDiMa (Centro di referenza nazionale per le indagini diagnostiche sui mammiferi marini spiaggiati) e del CERT (unità di intervento italiana del Cetacean’s Strandig Emergency Response Team), anche se non è da escludersi completamente un taglio dovuto a un’elica. Le condizioni dello sfortunato animale non lasciano ben sperare: anche se riesce a spostarsi in superficie nonostante la mutilazione, non pare riuscire a darsi la spinta per compiere immersioni profonde per nutrirsi.
Raccomandiamo di non causare ulteriore stress all’animale avvicinandolo con le barche e di avvertire la Guardia Costiera in caso di avvistamento nei prossimi giorni.

Maddalena Jahoda