I nuovi muri della morte minacciano i capodogli

Nel giro di poche settimane, ben due capodogli sono stati ritrovati al largo delle Isole Eolie, entrambi intrappolati in reti spadare: se uno è stato liberato dai sommozzatori della Guardia Costiera, l’altro è rimasto con la coda irrimediabilmente intrappolata da una rete derivante illegale nonostante gli sforzi e il coraggio di tante persone che hanno tentato di salvare l’animale per due giorni e una notte: ancora una volta la Guardia Costiera, e diversi biologi siciliani tra cui Carmelo Isgrò e Monica Blasi. La causa sono le reti pelagiche derivanti, note anche come spadare, reti lunghe chilometri e chilometri che imprigionano e uccidono qualsiasi animale abbia la sfortuna di imbattervisi.

Tethys e Greenpeace hanno inviato una lettera alla Ministra delle politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova, denunciando la grave situazione, le cui vittime sono in particolare i capodogli. Quella del Mediterraneo è una popolazione classificata come “in pericolo”, stimata oggi in non più di 2000 individui, e che sta soffrendo anche per altre cause, quasi sempre legate all’uomo: ingestione di plastica e l’infezione da morbillivirus (favorito dai molti inquinanti che causano immunodepressione).

Gli avvenimenti recenti non sono purtroppo isolati: molti ricorderanno un altro capodoglio morto nel 2017 con la coda intrappolata in una spadara proprio nella stessa area, e una coppia di animali, madre e piccolo, morti avvolti in una rete al largo di Ventotene l’anno scorso. E questa è quasi certamente solo la “punta dell’iceberg”, dato che molti animali vanno incontro a una morte lenta e inesorabile senza che siano mai scoperti o censiti.

Le reti spadare in realtà sono vietate fin dal 2002 da un regolamento comunitario proprio per il tragico problema delle catture accidentali: già negli anni 90 si stimavano fino a settemila cetacei morti all’anno solo nei mari italiani, oltre a mante, squali, tartarughe. Come mai quindi sono ritornate?

Perché purtroppo non sono mai sparite. Sono infatti ancora consentite le cosiddette ferrettare, reti del tutto simili ma che non dovrebbero superare i 2,5 km, e che dovrebbero essere usate solamente entro le 3 miglia dalla costa. Delle mini-spadare, in sostanza, che si possono usare, se non fosse che spesso vengono impiegate in maniera illegale, collegandole tra di loro a formare qualcosa di molto simile ai famigerati muri della morte. La strage avviene regolarmente nonostante l’impegno costante della Guardia Costiera, e anche la pratica di spacciare tali attrezzi per per reti a circuizione, sciabiche o reti da posta fissa circuitanti non facilita i controlli.

La soluzione? Un bando completo di tutte le reti derivanti come già proposto nel 2015 anche dalla Commissione Europea, assieme all’applicazione di pene molto più severe, misure tra quelle che Tethys e Greenpeace hanno chiesto nel messaggio alla Ministra Bellanova, e cioè: la messa al bando delle ferrettare; l’inasprimento delle sanzioni pecuniarie per l’uso di attrezzi da pesca illegali; l’applicazione delle pene che prevedono il ritiro della licenza di pesca da 3 a 6 mesi in caso di infrazione; il ritiro permanente della licenza di pesca in caso di reiterazione; il sequestro inappellabile delle reti illegali; l’agevolazione dei controlli, sia a terra che in mare, da parte della Guardia Costiera.

Maddalena Jahoda

Su questo e gli altri problemi che mettono a rischio in maniera sempre più preoccupante la sopravvivenza dei capodogli e del Mediterraneo, il briefing di Greenpeace, basato su un rapporto sulle principali cause di spiaggiamento dei cetacei lungo le coste italiane commissionato ai veterinari del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova.