Le orche di Genova: tutto quello che sappiamo su di loro

È una sorta di “mistero”, quello delle orche che per quasi 20 giorni si erano fermate nel porto di Prà, di fronte a Genova Voltri, e che il 18 dicembre si sono, a sorpresa, spostate a Vado Ligure, che però si sta lentamente chiarendo e a cui continuano ad aggiungersi elementi interessanti grazie al monitoraggio e alle “indagini” di Tethys, della Guardia Costiera e  di altri gruppi di ricerca. Ecco cosa si è scoperto allo stato attuale.

I quattro cetacei provengono nientemeno che dall’Islanda. Lo hanno scoperto ieri i colleghi di Orca Guardians che studiano le orche nell’Islanda occidentale e hanno “riconosciuto” i quattro individui, che dal 2014 al 2017 hanno avvistato nel mese di giugno, grazie all’impiego della foto-identificazione. Confrontando le loro immagini con quelle scattate dall’associazione Menkab, hanno scoperto che si tratta di “Riptide” (catalogata come SN113), di “Aquamarin” (SN116), e con ogni probabilità di “Dropi” (SN115). La femmina con il piccolo morto è invece SN114, che aveva già avuto un piccolo nel 2017. In più, come si è scoperto poco fa, anche le vocalizzazioni “coincidono” con quelle che i ricercatori, tra cui quelli di Menkab, hanno ottenuto.

Il dato è clamoroso per i biologi, perché è la prima volta che viene registrata la presenza di orche dell’Islanda in Mediterraneo e perché si tratta della più lunga migrazione documentata per questa specie; il gruppo ha infatti coperto qualcosa come 5200 km.

Interaction hotspots: overlap of noise hotspots and important cetacean habitats

L’Istituto Tethys, la non-profit specializzata in mammiferi marini, con esperienza ultra trentennale, che dal marzo scorso ha firmato con la Guardia Costiera e Corpo delle Capitanerie di porto un Protocollo di Intesa proprio per fornire assistenza e consulenza scientifica su balene e delfini del Mediterraneo, nel frattempo sta sempre monitorando gli animali giorno per giorno con l’aiuto di Alessandro Verga di Whale Watch Genova, e i suoi esperti sono riusciti a delineare meglio la situazione anche da altri punti di vista.

Come è noto, le orche (Orcinus orca), pur segnalate sporadicamente, non costituiscono una popolazione mediterranea; il gruppo di 5 individui era stato avvistato fin dalla metà novembre di fronte a Cartagena, in Spagna, poi nelle acque di Formentera e infine al largo di Carloforte, in Sardegna, da dove ha poi proseguito verso nord, fino al golfo di Genova.

È costituito da un maschio, una femmina e altri due individui che potrebbero essere femmine adulte o giovani maschi; il piccolo, di meno di un anno, che li accompagnava e le cui condizioni erano apparse da subito precarie, è purtroppo morto martedì 3 dicembre, tra la mattinata il primo pomeriggio, proprio mentre i ricercatori Tethys, biologi e veterinari dell’Acquario di Genova, stavano monitorando il gruppo dal gommone. La madre però, com’è noto, non ha voluto abbandonare il cucciolo, trasportandolo per quattro giorni, anche se era evidente che non respirava più.

Ora un’altra delle orche desta serie preoccupazioni; appare molto magra e con la pelle squamata; sempre attraverso la foto-identificazione, i ricercatori hanno ricavato altre informazioni preziose: l’individuo debilitato non è il maschio adulto e nemmeno la madre del cucciolo morto, come si era pensato inizialmente, ma uno degli altri due membri del gruppo.

Con la stessa tecnica era già stato escluso che provenissero dalla popolazione più vicina, quella che vive appena fuori dallo stretto di Gibilterra ed è composta da una quarantina di individui. I ricercatori dell’Islanda invece conoscono bene gli individui in questione anche se, sottolineano, non sono necessariamente in zona tutto l’anno. In altre parole, queste orche tendono, più di altre, a “girovagare”, cosa che potrebbe far sperare che riprendano spontaneamente la loro rotta.

Non è possibile, purtroppo, sottolineano gli esperti di Tethys, tentare di alimentarle artificialmente, perché a differenza di quelle tenute in cattività, le orche in natura accettano solo prede vive e solo quelle in cui sono “specializzate”. Le orche islandesi, comunque sembrano più “flessibili” nelle loro preferenze alimentari, e anche questo potrebbe far sperare che si stiano, dopotutto, alimentando anche in Mediterraneo.

Impensabile anche catturarle nel tentativo di curarle in una struttura perché l’operazione, anche eticamente discutibile, sempre secondo i ricercatori dell’Istituto, aggiungerebbe ulteriore stress, con ogni probabilità fatale per gli animali.

Per le orche inoltre, è molto importante la coesione di gruppo; dividerle è traumatico per una specie che vive tutta la vita in famiglie matrilineari. Significa che ogni individuo, anche i maschi, restano con il gruppo della mamma e della nonna. L’unità familiare, più comunemente chiamato “pod”, di Genova non è quindi un maschio con il suo harem, ma più probabilmente una madre, o una nonna, con figli o nipoti.

Gli sforzi della Guardia Costiera e degli esperti al momento va soprattutto alla ricerca del corpo del piccolo morto, che potrebbe essere stato avvistato domenica dalla spiaggia di Noli, ma che ancora non è stato possibile recuperare; esaminato dai veterinari potrebbe rivelare informazioni preziose sia sulla causa della morte che sulla provenienza del gruppo, attraverso l’analisi del DNA.

Inoltre i ricercatori stanno continuando a monitorare le orche anche acusticamente. Le registrazioni vengono effettuate 24 ore al giorno da Nauta Scientific e Tethys mediante un idrofono (microfono subacqueo) fissato sul fondale, e durante alcune uscite in mare dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Genova, dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dall’Università di Torino e dall’Acquario di Genova.

Maddalena Jahoda